Fabrizio Bassotti: la mancata applicazione dei protocolli mette a rischio la salute dei lavoratori e l’andamento dell’economia, servono i controlli.

PESARO 13 MAGGIO 2020 – “La fase due per i metalmeccanici è iniziata prima del 4 maggio in quanto la maggior parte delle aziende hanno fatto richiesta al Prefetto per la riapertura anticipata”. E’ quanto scrive Fabrizio Bassotti, segretario generale provinciale della Fiom Cgil, sul tema della ripartenza nel settore metalmeccanico.

“Chiarito ciò – prosegue – le difficoltà per i lavoratori, in questo periodo di “ripartenza” sono tantissime. Anzitutto ci sono quelle economiche legate alla cassa integrazione che pur essendo prevista non è stata ancora erogata perché molte aziende non sono state in grado di anticipare l’indennità e hanno previsto il pagamento diretto da parte dell’Inps che a causa della burocrazia ritarda nei pagamenti.

Tornare in fabbrica è un problema per le lavoratrici e i lavoratori che non sanno a chi lasciare i figli, visto che le scuole sono chiuse.
Altro problema è l’uso della mascherina che rende molto più faticoso il lavoro in fabbrica, e lo sarà ancora di più con l’arrivo del caldo.
Abbiamo registrato anche problemi di mobilità: non si può più andare al lavoro con i mezzi pubblici o il car-sharing e naturalmente per i lavoratori aumentano le spese.
Tutte le mense aziendali sono chiuse e proprio per evitare gli assembramenti sono cambiati anche gli orari di lavoro e, con le misure di distanziamento sociale, è sparita quella socialità tra colleghi all’interno delle fabbriche che rendeva per certi versi piacevole il lavorare insieme.

Per quanto riguarda la ripresa produttiva a pieno regime credo che sia ancora molto distante in quanto tutti i mercati mondiali sono fermi, compreso il nostro mercato interno: già si registra un crollo drammatico della produzione industriale con previsioni di chiusura dell’anno 2020 con un Pil a -10% circa.

In mezzo a queste problematiche c’ è la questione fondamentale della sicurezza.
Nelle fabbriche del nostro territorio la situazione non è affatto omogenea poichè ci sono aziende scrupolosissime dove abbiamo protocolli che aggiorniamo continuamente e di cui verifichiamo l’applicazione e altre che vorrebbero applicare gli stessi protocolli ma non sono in grado di farlo obbligandoci così a segnalare inadempienze alle autorità competenti.

Inoltre c’è il grandissimo problema di tutte quelle aziende dove il sindacato non è presente. Questo vuol dire che in quei luoghi di lavoro non esiste neanche l’ombra di un controllo e di ispezioni delle autorità preposte alla vigilanza; nessuno sa se i lavoratori di questa miriade di aziende non sindacalizzate operino in sicurezza oppure no.
Sarà forse un caso che il numero maggiore di contagi che si sono registrati corrispondono geograficamente a dove sono situati i maggiori distretti industriali?

Sempre a proposito di protocolli – prosegue il segretario – assistiamo da un lato a una serie di sovrapposizioni normative e dall’altro lato a vuoti legislativi che in questa fase riguardano principalmente la questione dei test sierologici. In alcune aziende lo screening è iniziato ma se un lavoratore risultasse positivo dovremmo affrontare il problema della mancanza di regole precise che stabiliscano come gestire coloro che risultano contagiati dal coronavirus.
I test sierologici non sono ancora ufficialmente riconosciuti dal Ssn e non c’è nemmeno uno standard nazionale che identifichi il test più efficace.
Tutto questo vuol dire che se le aperture non sono state programmate con cautela e nel rispetto di tutte le regole definite dai protocolli si rischiano focolai all’interno della fabbriche ed è chiaro che se dovesse avvenire- conclude – oltre al rischio per la salute dei lavoratori ci sarebbe anche il rischio che quelle aziende non riaprano più, con ricadute devastanti sul piano dell’occupazione e dello sviluppo.”

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