“Sarebbe illusorio pensare che, passata l’epidemia, l’economia, il lavoro possa tornare come prima… Tra gli effetti dell’emergenza c’è l’esigenza di ripensare produzioni e consumi alla luce delle esigenze della salute e della sostenibilità, di ripensare alle morti e agli infortuni sul lavoro, insomma è indispensabile far diventare il sistema della salute e del welfare uno dei motori di sviluppo dell’economia” Mariana Mazzucato

Fu la II Internazionale – Parigi 20 luglio 1889 – a scegliere il Primo Maggio quale giorno per celebrare la festa del lavoro. In quella occasione venne indetta una grande manifestazione per chiedere la riduzione della giornata lavorativa a otto ore. Il giorno fu scelto per ricordare i gravi incidenti del maggio 1886 a Chicago, noti come rivolta di Haymarket. A metà ‘800 infatti i lavoratori, in particolare le lavoratrici, non avevano diritti: lavoravano anche sedici ore al giorno in pessime condizioni, rischiando la vita. Il primo maggio fu indetto dunque uno sciopero generale che culminò in una repressione nel sangue, con undici morti. Tale tragedia divenne il simbolo delle rivendicazioni operaie per avere diritti e condizioni di lavoro migliori.

In Italia la festività fu ratificata due anni dopo nel 1891. Durante il ventennio fascista la celebrazione fu anticipata al 21 aprile in coincidenza col cosiddetto “Natale di Roma”.

Nel 1955 Pio XII istituì la festa di S. Giuseppe lavoratore, perché l’occasione potesse essere condivisa a pieno titolo anche dai lavoratori cattolici. Infine a testimonianza di come non si sia mai capito compiutamente quanto possa aggiungere il talento delle donne alla vita economica del paese, al di là del relegarle in ambiti domestici, possiamo segnalare il Primo Maggio del 1975 in cui le donne di molti paesi dichiararono tale ricorrenza “giornata di sciopero dal lavoro domestico”.

In questo nostro Primo Maggio 2020, tra Corona virus e Pil in caduta libera , c’è poco da festeggiare, ma sembra comunque doveroso dare memoria storica al mondo del lavoro e sottolineare il percorso e le conquiste conseguite, ben sintetizzate nelle parole del Presidente Mattarella: “Senza lavoro rimane incompiuto il diritto stesso di cittadinanza, la dignità dell’individuo ne rimane mortificata, la solidarietà sociale e la stessa possibilità di sviluppo della società ne rimangono compromesse”.

Lavoro e sviluppo economico-sociale è il tema dei nostri giorni all’approssimarsi della cosiddetta fase due, quella appunto del ritorno al lavoro. Questo lavoro tanto bistrattato in tempi di globalizzazione – carenze di sicurezza, salario, orario, precarietà, perdita di diritti – torna ad essere centrale. Lo è stato nel lavoro encomiabile del personale sanitario che ha lottato contro il Covid 19 con le armi spuntate di una sanità pubblica fiaccata da dissennate politiche di austerità e privatizzazione forzata. Lo è stato nel lavoro di tutti coloro che hanno assicurato le filiere della nostra sopravvivenza in tempi di lockdown. Lo è stato infine nell’indispensabile e capillare lavoro di sorveglianza delle forze dell’ordine. Lo sarà ancora nella impellente ripresa di attività economiche e produttive, che comunque dovranno essere assolutamente compatibili con la tutela della salute dei lavoratori stessi e di tutti noi.

Quanto poi ad un cambio di paradigma – una economia che metta realmente al centro la persona e la dignità del lavoro, sappia correggere modelli di crescita di un mercato senza regole e sappia mettersi in sintonia con l’ambiente naturale nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, mancanza di sintonia che potrebbe essere causa non ultima della pandemia – vedremo. Per ora limitiamoci a incisive proposte per immediati investimenti nella sanità pubblica, sottolineando lo slogan del tradizionale Concertone del Primo Maggio: “Il lavoro in sicurezza per costruire il futuro”.

Novecento – Valerio Sanzotta

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