Sessant’anni dopo, cosa insegna la tragedia di Marcinelle e qual è il legame tra il nostro territorio e la migrazione verso le miniere del Belgio?

Per questo anniversario della strage dell’8 agosto 1956 nel fondo del Bois du Cazier, a Marcinelle in Belgio, Cgil e Spi di Pesaro Urbino hanno realizzato due iniziative: una rappresentazione teatrale (andata in scena l’8 agosto a Fano al teatro della Fortuna) e l’altra, venerdì 9 settembre, a Vallefoglia, dove è stato presentato il libro di Marco Labbate, dottore di ricerca in Storia dei partiti e dei movimenti politici all’università Carlo Bo di Urbino, dal titolo: “Là sotto nell’ l’inferno – da Pesaro a Marcinelle” (Ediesse).
Il libro è stato realizzato in collaborazione con l’Istituto di storia contemporanea della provincia di Pesaro Urbino (Iscop) diretto da Anna Tonelli docente di Storia contemporanea all’Università di Urbino che ne ha curato l’introduzione.
“Il libro nasce da un’ intuizione”, spiega Marco Labbate alle tante persone presenti nella sala convegni dell’Hotel Blu Arena di Montecchio.

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Sul palco ci sono anche Palmiro Ucchielli, sindaco di Vallefoglia, Emilio Franzina, docente di Storia contemporanea all’Università di Verona, tra i massimi studiosi italiani di emigrazioni, Simona Ricci segretaria generale della Cgil Pesaro Urbino, Catia Rossetti segretaria generale Spi Cgil provinciale e Fausto Durante, responsabile Politiche europee e internazionali della Cgil (foto).

L’intuizione di cui si parlava è di Giuliano Giampaoli, responsabile del progetto Memoria della Cgil  provinciale e parte dal numero dei minatori del nostro territorio morti nella miniera.
Delle 136 vittime italiane, sono 9 i minatori che provengono proprio dalle zone di Vallefoglia ai quali si aggiungono altri due minatori, uno anconetano che viveva a Fano e un toscano che si era trasferito a Fossombrone dopo la guerra di Resistenza.

L’intuizione trova una conferma nella ricerca storica di Marco Labbate: tra Pesaro e il Belgio c’è un legame, forte, dovuto a molti fattori.
Dal 1945 al 1956 la nostra provincia è tra le più povere del centro-nord. La popolazione è costituta in gran parte da braccianti e anche da minatori, perché qui c’erano le miniere. Ca’ Bernardi ne è un esempio lampante – si ricorda l’epica battaglia dei suoi minatori – i “sepolti vivi”.

In virtù dell’accordo italo-belga del 1946, le miniere del Belgio sono una meta ambita perché quel lavoro così difficile e così pericoloso richiede proprio braccia forti (i mezzadri) e minatori.
Il Belgio preferisce questo tipo di lavoratori agli operai.

“L’immigrazione verso il Belgio è di medio termine”, spiega Marco Labbate, perché i pesaresi preferiscono partire soli rimandando i ricongiungimenti famigliari nella speranza di un ritorno sperato.

Delle miniere belghe il salario è ambito, ma le condizioni di vita sono difficili. I minatori vanno ad alloggiare nelle baracche occupate dai prigionieri tedeschi dove convivono con fatica e nostalgia.
Ma, spiega ancora Labbate, la tragedia di Marcinelle “segna uno spartiacque, dopo quella strage l’emigrazione si interrompe”.
La notizia della tragedia corre velocemente e Marcinelle diventa simbolo di un dolore senza speranza.
Le famiglie, infatti, vengono avvisate e chi può raggiunge Bois du Cavzier, alla ricerca dei propri famigliari.
E l’orologio dell’immigrazione si ferma l’8 agosto del 1956, a Marcinelle, in Belgio. Dove però le riserve carbonifere si andavano esaurendo. Anche per questo i nostri connazionali cominciano a raggiungere la Svizzera dove i ricongiungimenti famigliari sono ancora più difficili.

Il professor Franzina spiega che la focalizazione sul tema immigrazione è recente.
L’opinione pubblica se ne interessa quando l’Italia diventa meta di immigrazione, dapprima dall’Albania, in seguito dal Maghreb e oggi dalle zone di guerra come la Siria.

Cosa ci insegna Marcinelle lo spiega Fausto Durante. Rappresenta le contraddizioni di oggi: la perdita del valore e della dignità del lavoro.
Uomini che 60 anni fa si calavano nel sottosuolo in virtù di accordi commerciali riporta alla svalorizzazione del lavoro, considerato una variabile indipendente rispetto alle politiche neoliberiste oggi in voga, che dettano legge oltreché in Italia (Jobs Act) anche, in Francia, in Spagna, in Finlandia e in altri paesi.
“Marcinelle ci insegna che dobbiamo riprendere un percorso interrotto – conclude il responsabile delle Politiche europee e internazionali della Cgil”.
“Non possiamo fermare quelli che partono, il mercato mondiale e globale non ha vincoli e non ha contrappesi, e anche per questo milioni di italiani, oggi, vanno all’estero”.
Marcinelle ci parla ancora e ci insegna che non possiamo prescindere dall’accoglienza e dalla integrazione. Per questo è importante coltivare la memoria, perché ci insegni a costruire una società diversa, che costruisce ponti e abbatte muri.

Nel corso dell’incontro, sono state trasmesse le testimonianze dei nostri immigrati attraverso dei video realizzati da Spi e Cgil provinciali e passaggi canori della prima iniziativa a Fano.
“Storie esemplari – ha detto Simona Ricci- di quello che eravamo e di quello che spesso dimentichiamo di essere stati”.

Pesaro, 10 settembre 2016

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