Nel paese degli 8000 campanili, in questi ultimi mesi sembra di assistere ad una corsa alla fusione e all’unione tra comuni. Una corsa all’ultimo respiro o all’ultimo finanziamento, dato che, in base alle norme ad oggi vigenti i benefici derivanti dai finanziamenti e dallo sblocco del Patto di Stabilità, in particolare per i piccoli comuni che dallo scorso anno ne sono soggetti, sono davvero rilevanti, sia in termini di spesa corrente che soprattutto, di capacità di investimento che si liberano, almeno per i comuni virtuosi. E tutti i comuni del nostro territorio, va detto, lo sono. E’ possibile che il Governo stringa la cinghia su benefici, di qui, la corsa per arrivare prima dell’approvazione della Legge di Stabilità.
Per noi, il tema della gestione associata dei servizi dei comuni è, da almeno un decennio, un tema che poniamo con determinazione ai Sindaci in quanto ne va dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi erogati ai cittadini, soprattutto in tempi di spending review selvaggia che non fa alcuna distinzione tra comuni virtuosi e non.
Fa bene quindi, il Comune di Pesaro, assieme ai sindaci della neonata Unione, a proseguire con passo spedito e determinazione verso questa direzione. Allo stesso modo il progetto di fusione con Mombaroccio è per noi coerente con tutto questo. Direzione, tra l’altro, politicamente coerente con quanto deliberato nella primavera del 2013 dalla Provincia e dai Sindaci di allora in tema di Ambiti Territoriali Ottimali per la gestione dei servizi comunali, ambiti che devono coincidere con i confini degli attuali Ambiti Sociali territoriali. E, per ora, solo Pesaro sta rispettando, con tappe serrate, questa indicazione, Pian del Bruscolo permettendo. La stessa indicazione dovrebbe provenire dalla Regione Marche, dove ancora giace la proposta di delibera sugli Ambiti Ottimali, proposta che, con la “tragica scomparsa” delle Province si rende ancora più urgente e necessaria.
Per il resto, tutti in ordine sparso, con le tre Unioni Montane del nostro territorio su cui incombe la scure dei tagli e delle incertezze sul futuro, con il rischio di buttare a mare tutte le esperienze positive per l’entroterra che si sono prodotte negli anni e con gli altri comuni che inseguono le fusioni senza che, almeno sin qui, sia chiara la strategia a medio lungo termine per il territorio. Altri stanno fermi, a partire da Fano. Peccato perchè l’unica cosa che di questi tempi non si può davvero fare è stare fermi.
La strategia a breve è fin troppo evidente: incassare e spendere subito i benefici derivanti da tali operazioni, in una situazione in cui i bilanci dei comuni italiani si apprestano a subire, dopo quelli dei mesi scorsi, ulteriori tagli ai trasferimenti da parte dello Stato, nel silenzio tombale dell’Anci di Piero Fassino, non a caso accusato da tanti di essere troppo accondiscendente nei confronti del Governo.
Davvero lontani i tempi in cui l’ANCI si poneva come interlocutore al di sopra delle parti, rivendicando, tra tutti, il fatto che i comuni, a differenza delle amministrazioni statali, sono quelli che più di ogni altro hanno contribuito al rispetto dei parametri di stabilità.
Guardando gli ultimi dati disponibili e rielaborati da Ires CGIL Marche (Bilanci consuntivi 2013), appare evidente come, a condizione invariata, cioè con una politica nazionale di tagli feroci alla spesa pubblica, l’unione e la fusione dei comuni appare fondamentale anche per sbloccare risorse per il territorio che creino lavoro e sviluppo: gli investimenti pro capite dei comuni della provincia sono passati da una media di 123 euro a cittadino nel 2011 a 96 euro nel 2013, restando per tutti e tre gli anni sotto la media dei comuni delle Marche che nel 2013 era pari a 136 euro. Si va da una media di 67 euro per i due comuni sopra i 50.000 abitanti (Pesaro e Fano) fino ai 160 euro dei comuni nella fascia tra 5000 e 10.000 abitanti ma a fronte di un indebitamento, per questi ultimi,
che nel 2013 è di 746 euro pro capite, mentre Pesaro e Fano si confermano comuni virtuosi avendo i loro cittadini un debito pro capite pari a 326 euro, tra l’altro ulteriormente ridottosi nell’anno successivo.
In sintesi, i piccoli riescono a funzionare solo indebitandosi, cosa che con il Patto di Stabilità non è più possibile, mentre i grandi sono virtuosi ma facendo
pagare un prezzo alto alla collettività in termini di ridotti investimenti in lavoro, servizi e sviluppo.
Dei dipendenti dei comuni e dei dipendenti che lavorano in appalto con essi, non voglio parlare, perché parlano da soli i risultati, ottenuti dopo anni di blocco del turn over e dei contratti di lavoro. Se i comuni del nostro territorio sono virtuosi, se i servizi, tra mille difficoltà e scarsità di risorse
,vengono ancora erogati, lo dobbiamo anche e soprattutto a loro, nei piccoli comuni dove sono costretti ad improvvisarsi in mille funzioni che negli anni sono rimaste scoperte fino ai medi e grandi comuni nei quali si possono fare progetti e servizi innovativi solo grazie alle professionalità di chi ci lavora. Sarebbe cosa buona e giusta che se ne ricordassero anche gli amministratori e, magari, lo riconoscessero pubblicamente, a partire dal Sindaco Ricci.
A Pesaro le cose funzionano e vanno avanti con determinazione e velocità certo per volontà politica ma con un lavoro importante e di grande qualità dei lavoratori del Comune. E’ una verità poco “social” ma molto vera.
Simona Ricci
Segretaria generale provinciale Cgil Pesaro Urbino