L’intervento di Simona Ricci, segretaria generale provinciale CGIL Pesaro e Urbino.

Sono passati due anni da quando, a fine dicembre ’15, la Regione dichiarò la quasi totalità del nostro territorio provinciale (30 comuni) area di crisi ai fini dell’accesso ai finanziamenti europei del Por Marche 2014/20. Con noi la Provincia di Ascoli Piceno e il fabrianese, già dichiarate aree di crisi complessa. L’anno successivo, con Decreto del Mise del 19 dicembre ’16 e su proposta della Regione, 44 comuni del territorio provinciale furono dichiarati “area di crisi non complessa” ai fini dell’accesso ai finanziamenti agevolati previsti dalla normativa nazionale, assieme alla quasi totalità del territorio marchigiano, nel frattempo colpito dalla tragedia del terremoto. I criteri per la scelta hanno ovviamente a che vedere con l’impatto della crisi economica nel nostro territorio, in
particolare il crollo degli occupati e la crescita dei disoccupati nei sistemi locali del lavoro censiti dall’Istat, oltre che la specializzazione produttiva (legno-arredo) e la diminuzione delle imprese attive.

I dati presi a riferimento (quelli del 2014) sono nel frattempo ulteriormente peggiorati, come si può vedere dalla nostra elaborazione dei dati Istat sui 7 Sistemi Locali del Lavoro provinciali in un raffronto 2008/2016.



Tra un paio di mesi avremo i dati sul lavoro a carattere provinciale del 2017, ma il rilevamento trimestrale Istat per le Marche, pur facendo segnale una debole ripresa nei primi tre trimestri del 2017, in particolare per il settore manifatturiero, ci consegna comunque un quadro fatto, in estrema sintesi, di una ripresa debole, che produce lavoro precario e del tutto insufficiente a recuperare l’emorragia di posti di lavoro prodotta negli anni della crisi.

Analizzando il numero di imprese del nostro territorio che nel corso del 2017 hanno avuto approvati dalla Regione Marche progetti a valere su bandi europei dedicati alle imprese con sede nei comuni area di crisi e finalizzati agli investimenti produttivi, all’innovazione e al sostegno alle start up, troviamo un totale di 44 imprese, che hanno fatto investimenti per poco più di 28 milioni di euro, ottenendo finanziamenti europei per quasi 5 milioni.

L’effetto moltiplicatore è evidente ma il numero di imprese e le risorse dedicate sono davvero poche. Ancora non sappiamo gli effetti che produrrà la dichiarazione di stato di area di crisi non complessa per il nostro territorio provinciale, in quanto gli interventi, attivi da aprile ’17, verranno gestiti a livello ministeriale, attraverso Invitalia, ma possiamo già dire che, con il limite minimo per singolo progetto di investimento, previsto dalla normativa, di un milione e mezzo di euro, molto alto, gli effetti sul sistema produttivo locale saranno limitati se non nulli. Infine, sarebbe utile conoscere l’utilizzo da parte del sistema delle imprese locali del sistema degli incentivi previsto da Industria 4.0, dalla cd “nuova Sabbatini” ai super e iper ammortamenti.
Il tutto per comprendere se e come il sistema locale reagisce, investendo, alla crisi.

Siamo l’unico territorio marchigiano con queste caratteristiche, cioè con canali regionali e nazionali privilegiati di sostegno al sistema produttivo e al lavoro, per il quale non esiste né un luogo né una strategia esplicita e condivisa di intervento per lo sviluppo e per il lavoro. Ne qui ne in Regione. Nel resto delle Marche questo, al contrario, avviene. Qui ognuno corre per sé, inseguendo bandi europei che, a volte, non solo non sembrano avere alcun impatto concreto e significativo ma sono scollegati dai bisogni veri e concreti del territorio e del lavoro, soprattutto. Ognuno progetta e pianifica per sé, anche Pesaro e Fano, al di là delle intese ad oggi sulla carta. E la Regione sta a guardare. Occorrerebbe, al contrario, coordinare gli interventi previsti dal Por Marche 2020 con il sistema incentivante di Industria 4.0 e puntare, a livello di territori, ad interventi di dimensioni e impatto significativi, più che disperdere risorse in mille rivoli.

Sono convinta che questa sia un’esigenza condivisa anche dalle associazioni delle imprese con le quali, spesso, condividiamo analisi e criticità. Non può esistere alcuna ripresa solida e di qualità se non si punta alla qualità degli investimenti e, soprattutto, dal nostro punto di vista, al lavoro stabile e ben remunerato. Anche nelle imprese che stanno affrontando una ripresa fatta di crescita sostenuta degli ordinativi e del fatturato, le ricadute sui lavoratori, sulla loro remunerazione in termini di produttività e sulla stabilità della loro occupazione sono impercettibili se non nulle.

Alcuni dati, che ci consegna il BES ISTAT 2017 per le Marche sono estremamente significativi di un territorio che è oramai, purtroppo stabilmente da qualche anno, la “prima” Regione tra quelle del Sud, due dati tra tutti: la percentuale di dipendenti con bassa busta paga è del 12,6%, contro una media italiana del 10,2 e un Nord che è al 6,5%, le persone a rischio povertà sono 16 su 100, con un Nord che sta al 12,4.

Non possiamo stare bloccati in questa trappola fatta di crescita di basso profilo quali-quantitativo e di un lavoro per il quale sembra non arrivare mai il tempo della giusta ricompensa.

Il nuovo anno consegna a noi, a chi ha una qualche responsabilità in più nel tentare di orientare la qualità dello sviluppo e del lavoro, alle associazioni delle imprese, alle istituzioni locali e regionali, un compito imprescindibile per un territorio che è alla ricerca affannosa di una nuova identità economica e sociale.

Simona Ricci
Segretaria Generale Cgil Pesaro Urbino

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