“Cessione del ramo d’azienda”, l’incubo dei dipendenti della Azimut Benetti di Fano.
Fino a maggio la produzione a pieno regime poi la richiesta di cassa integrazione e lo spettro  della chiusura del sito produttivo.

FANO –  Per tre anni  consecutivi (nautici),  al cantiere  navale Azimut Benetti spa di Fano si è lavorato intensamente e niente lasciava presagire l’annuncio della richiesta di  cassa integrazione per 40 lavoratori e la decisione di cedere il ramo d’azienda poi. Il tutto nel mese di maggio.

Per questo motivo, ieri, dopo l’assemblea, la Rsu e i sindacati di categoria Filctem Cgil , Femca Cisl e Uiltec Uil hanno proclamato una giornata di sciopero con relativo presidio davanti ai cancelli dello stabilimento.

Dagli incontri con l’azienda: dapprima con la Rsu e in seconda battuta con le organizzazioni sindacali territoriali, l’azienda ha parlato chiaramente solo di “cessione di ramo d’azienda” (che tra l’altro la Benetti non ha mai praticato a differenza della consociata Azimut),  oppure di cassa integrazione a zero ore e mobilità.

Una doccia gelata, raccontano i lavoratori. E un altro pezzo della cantieristica fanese che se ne vuole andare.

Eppure, spiegano i lavoratori (88 tra operai e impiegati, 30 dei quali già in cassa integrazione, ai quali se ne aggiungeranno altri 10) il lavoro non manca. Dicono che l’azienda ha in programma la costruzione di due scafi: uno di 31 metri e l’altro di 35.

E si sa anche che il lavoro, fino a maggio non è mai mancato. Tutt’altro.

All’incontro la Azimut Benetti, riferiscono Rsu e sindacati, ha parlato di circa 10 yacht invenduti quale  causa della  richiesta della  cassa integrazione ordinaria e del rallentamento della  produzione ai minimi termini.

Così, si è fatto strada tra i lavoratori, il dubbio che poi è diventato quasi certezza,  della volontà di chiudere il cantiere e mandare a cassa 88 persone.

Ricordiamo che ha Fano si produce materiale composito in vetroresina.

Le proposte di lavoratori e sindacati sono state diverse ma tutte ugualmente bocciate.

Hanno chiesto di portare il lavoro di pre – allestimento a Fano nonché la realizzazione dei due scafi. No su tutta la linea è stata la risposta dell’azienda.

E poi, ci si chiede.  questa cessione a chi verrebbe concessa? Non ci sono altri cantieri specializzati nella zona, per cui il rischio chiusura è sempre più concreto e sconcertante, data la mole di lavoro che a Fano negli i ultimi tre anni è stata notevole. Fino a maggio.

L’unico risultato positivo, riferiscono i lavoratori, è stata la partecipazione al presidio del sindaco di Fano Massimo Seri (foto) che ha già fissato un incontro con l’azienda e i sindacati per il 6 luglio prossimo.

Per quella data, si conta di avere maggiori certezze, in preparazione dell’incontro ufficiale con l’azienda, in agenda mercoledì 13 luglio.

Stupore e tanta amarezza serpeggiano tra i lavoratori. La crisi che si è abbattuta sulla cantieristica fanese sembrava finita e questa vicenda non sembra  legata alla congiuntura economica. Inoltre, per i lavoratori, c’è anche il timore  delle due settimane di ferie di agosto, del ritorno da quelle ferie  e lo stillicidio della cassa integrazione. La richiesta è stata fatta per la durata di tre mesi, ma l’azienda procede lentamente e prima di arrivare a 40 lavoratori si sta verificando questo stillicidio molto pesante.

Da qui all’incontro con il sindaco di Fano ci  sarà un contatto continuo e  costante tra lavoratori e sindacati.

Per il segretario  generale  della Filctem Cgil provinciale Giorgio Marzoli:  “La situazione è molto preoccupante. Noi chiediamo risposte in tempi brevissimi – sottolinea –  perché il rischio è quello di andare alla deriva. L’azienda deve cambiare quelle posizioni rigide assunte finora  e non dimenticare  la responsabilità sia di mantenere un sito produttivo importante come questo sia  l’occupazione. La cantieristica ha pagato un prezzo altissimo alla crisi, dal punto di vista dell’occupazione, ma esternalizzare riducendo  i costi quando la situazione non è negativa, è davvero inaccettabile”.

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