Sanità: nella provincia di Pesaro e Urbino manca programmazione e trasparenza.

Ancora una volta le scelte strategiche sul Servizio Sanitario nella Regione Marche avvengono al di fuori di qualsiasi contesto di programmazione partecipata, trasparente e condivisa. E ancora una volta la provincia di Pesaro Urbino funge da cavia nel, peraltro annunciato da Ceriscioli a inizio mandato, cambio di strategia politica e gestionale nel rapporto tra sanità pubblica e gestori privati accreditati e convenzionati.

Vale qui la pena di ricordare che questi ultimi, essendo appunto convenzionati, vengono retribuiti con le risorse pubbliche del Fondo Sanitario Nazionale in un settore, quello della domanda di salute, che più protetto non si può e dove il rischio d’impresa è ridotto ai minimi termini.

In questo senso la Regione, proprio perché si tratta di risorse pubbliche, dovrebbe sentirsi in dovere di rendere esplicita la propria strategia.

Ma questo non accade: in questo senso ci sentiamo in diritto/dovere di ricordare qualche antefatto e di porre qualche domanda al Presidente-Assessore, dato che le relazioni sindacali previste con il Protocollo di Intesa tra Organizzazioni Sindacali e Regione in tema di sanità (la Delibera di Giunta 149 del 2014), sia a livello regionale che a livello locale sono oramai ridotte al lumicino o, nella migliore delle ipotesi, limitate a qualche scarna e insufficiente informativa.

L’antefatto: la “rivolta” di questo territorio provinciale conto la riorganizzazione sanitaria, fatta di tagli a strutture e personale, poi avvenuta con la Delibera 735 del 2013 non si basava su presupposti di mera conservazione dell’esistente, almeno per quello che ci riguarda come Sindacato, ma su dati di fatto.

Noi eravamo un territorio che aveva già ridotto negli anni il numero di posti letto per acuti e di relative unità operative, eravamo infatti al 2,49 pl ogni mille abitanti (Macerata stava al 3,33, Ascoli al 3,58, Ancona al 4,39), avevamo caso mai un serio problema riguardante il sistema residenziale e semiresidenziale extraospedaliero, in particolare sulla costa, gravi carenze da assegnazione inadeguate di risorse, sopratutto ambulanze e Potes, sull’emergenza territoriale e avevamo un serissimo problema di sotto finanziamento e di organico riguardante la neonata, appena due anni, Azienda Ospedaliera Marche Nord, concausa principale della già allora pesantissima mobilità passiva, soprattutto verso l’Emilia Romagna.

Non solo: la riorganizzazione dei dipartimenti ospedalieri, le equipes chirurgiche che si muovevano sul territorio tra i vari presidi, un lavoro sull’appropriatezza delle prestazioni erogate, noi, tutto ciò, lo avevamo già fatto. Andava solo sostenuto e non abbattuto coi tagli ai budget e con scellerate scelte organizzative.

Quando dicevamo che con quell’ulteriore taglio di posti letto per acuti, pari a 99 posti letto (in realtà, come gli addetti ai lavori sanno bene, il taglio fu superiore perché nel conteggio complessivo derivante dalla riorganizzazione dei posti letto furono considerati i 40 posti del Santo Stefano a Macerata Feltria che avevano e hanno una classificazione extraospedaliera) e furono attribuiti 43 posti letto aggiuntivi (38 per acuti e 4 di Lungodegenza) all’Ospedale di Urbino che a tutt’oggi realmente non ci sono e non ci sono mai stati), si sarebbero aperte, consapevolmente e strategicamente, le porte all’arrivo dei gestori privati lo dicevamo a ragion veduta.

Allo stesso modo quando dicevamo che la società mista pubblico privata Montefeltro Salute srl non aveva mai prodotto risultati positivi per combattere la mobilità passiva lo dicevamo a ragion veduta, tanto che, lo stesso Presidente Ceriscioli, all’indomani della chiusura in fretta furia di quell’esperienza, dichiarò al Carlino nel dicembre 2015 che la società agiva al di fuori della logica pubblica.

A distanza di 4 anni, infatti, la mobilità passiva è raddoppiata, con un grave danno ai bilanci della Regione e con gli inevitabili disagi per i cittadini.
Nel frattempo i 12 posti letti pubblici su cui operava la Montefeltro Salute a Sassocorvaro sono “scomparsi”, entrando a far parte del saccheggio complessivo di posti letto, per lasciare il posto al gestore privato che ha portato con sé la fruttuosa dote di 12 posti letto privati e convenzionati dal resto delle Marche.

In questi 4 anni, dal 2013 ad oggi, a parte una parziale ma insufficiente inversione di tendenza in tema di assunzioni e budget assegnato all’Azienda Marche Nord, non abbiamo visto un posto letto in più e le liste di attesa per interventi chirurgici in degenza e ambulatoriali sono lunghissime.
Per non parlare delle liste di attesa per la diagnostica per la quale, oramai, tra i cittadini prevale la rassegnazione a mettersi le mani nel portafogli.

Nel 2013 il privato nel settore ospedaliero per acuti in provincia di Pesaro non esisteva, nelle altre province andava da un peso del 4% in Ancona fino ad un 21% ad Ascoli. Nel caso in cui la clinica privata dovesse nascere a Fano, con una dotazione di posti letto convenzionati pari a 100, come apprendiamo dai giornali, e se, sempre come leggiamo dalla stampa, il nuovo Ospedale a Muraglia dovrebbe avere 500 posti letto, e non 572 per acuti come ora, questa provincia passerebbe dall’avere zero privati nel settore dell’acuzie ad un peso del 15%, senza contare che rimarrebbero fuori da questa ipotesi, alquanto realistica in prospettiva, l’annunciata gestione privatistica degli ospedali di comunità di Cagli e Sassocorvaro, caso unico nelle Marche.
In questo caso arriveremo ad un peso del privato, sia nell’acuzie che nei 3 ospedali di comunità, nella gestione della sanità provinciale di circa il 20%.

Insomma, dal 2013 ad oggi il pubblico ha perso oltre 200 posti letto per acuti a favore del privato.
Dal calcolo, ovviamente, restano fuori le residenze sanitarie, gli ambulatori convenzionati e tutto il resto.

E’ questo l’obiettivo? Se sì, va dichiarato esplicitamente e ne vanno dichiarati i costi e i benefici, sempre che di questi ultimi ve ne siano.

E ancora: la clinica privata che dovrebbe nascere con questi presupposti a Fano sarà la più grande delle Marche.
Ad oggi, infatti, tutte le case di cura private convenzionate delle Marche sono al di sotto di 100 posti letto. Addirittura ben 3 su 8 complessive sono al di sotto di 40 posti letto e altre tre sotto i 60.
Sarebbero fuori dai requisiti minimi previsti dal Decreto del Ministero della Salute ma, con una provvidenziale delibera, la 288 del 2015, la Regione ha concesso una sostanziale deroga ai privati, in via transitoria senza che il periodo di transitorietà sia definito, attraverso la quale le Case di Cura, pur mantenendo giuridicamente la propria struttura di impresa, si costituiscono in rete d’impresa, girando così intorno al vincolo dimensionale che però, guarda caso, nelle Marche è stato applicata rigidamente agli ospedali pubblici.
Siamo sicuri che vada tutto bene?

Quanto alle dichiarazioni rilasciate alla stampa dagli investitori privati riguardo la nascita della clinica privata a Fano, alcune domande: ma qualcuno crede davvero che sia dal punto di vista della Regione Emilia Romagna, per la quale il gestore privato opera a Cotignola, sia sotto il profilo d’impresa dello stesso gestore che è proprietario di quelle cliniche fuori regione, che “portare Cotignola a Fano”, come spesso dichiara il Sindaco Matteo Ricci, sia una cosa logica?

O la produzione sanitaria ,cui corrisponde come sempre un budget pubblico assegnato, di Cotignola non è legata agli obiettivi di bilancio della Regione Emilia Romagna?

E perché mai il privato dovrebbe costruire a pochi chilometri un’altra clinica che si pone l’obiettivo di togliere pazienti ad una sua clinica?

E ancora: si legge che la clinica lavorerà solo sulle discipline mediche ad alta specializzazione, per i posti in convenzione, e per una fascia medio alta di popolazione per gli altri 100 posti letto privati (cosa di cui questo territorio, per dirla ironicamente, ha un enorme bisogno….).
Ma lo sviluppo dell’alta specializzazione non era l’obiettivo principale nonché costitutivo e presupposto essenziale della sua sopravvivenza, dell’Azienda Ospedaliera Marche Nord? Come si conciliano se mai si conciliano, le due cose? Oppure il futuro Ospedale a Muraglia sarà solo l’Ospedale di primo livello di Pesaro e Fano in “formato ridotto”?

E infine: sul sito di Muraglia e sulla storia che ha portato sin lì.

La delibera 350 del 10 aprile scorso, in una ricostruzione alquanto surreale e del tutto parziale, descrive le motivazioni che hanno portato al no su Fosso Sejore.
Vale la pena ricordare non solo la sollevazione popolare sull’inadeguatezza totale del sito, ma anche la boutade estiva dell’algoritmo o, ancora di più, le dichiarazioni del Presidente del marzo 2016 con le quali, in fretta e furia altrimenti sarebbe entrato in vigore il nuovo Codice degli Appalti (un Presidente che teme l’entrata in vigore di una legge migliorativa della preesistente non è proprio un bel vedere), annunciava l’avvio della progettazione su Fosso Sejore e la ricezione del primo progetto di Ospedale.
Sempre in quella delibera si individua Muraglia, badate bene, non per una esplicita scelta dei sindaci ma, in via residuale, perché gli stessi, avendo indicato la preferenza per un terreno pubblico, facevano scattare “automaticamente” il sito di Muraglia, redigendo così la Regione, in via del tutto autonoma, una propria classifica di siti adatti alla costruzione del nuovo Ospedale tra quelli espressamente richiamati in delibera, presi in considerazione dai Sindaci, sulla base dello studio dell’allora Provincia, nella seduta del 16 dicembre 2011.

Nel frattempo è successo il finimondo da ogni punto di vista, anche quello infrastrutturale, ma la Regione non se ne cura e tira dritto, trascurando anche uno studio commissionato proprio dalla Regione in cui venivano ben evidenziati, sia sotto il profilo del rischio idrogeologico sia sotto quello strutturale, i limiti del sito di Muraglia.

In questo pericoloso coacervo di contraddizioni, i cittadini e gli operatori della sanità pubblica, gli amministratori pubblici, noi, le parti sociali, non vorremmo perderci. In gioco c’è moltissimo: c’è il diritto alla salute, soprattutto e prima di tutto, e una delle più importanti opere pubbliche per questo territorio degli ultimi trent’anni.

Per questo la chiarezza della strategia è questione eticamente ineludibile ed il confronto è alla base delle scelte democratiche.

Pesaro, 19 maggio ’17.

Simona Ricci Segretaria Generale CGIL Pesaro Urbino

Gabrio Tonelli Responsabile Ast Cisl Pesaro

Riccardo Morbidelli Segretario Regionale UIL Marche

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